APPENDICE BIOGRAFIA
1
IL MONDO DI DIO, un Dio cosmico

 

 

 

 

Prima di affrontare l’argomento riguardante l’esistenza e la collocazione, in seno all’universo primordiale, di quella Entità Trascendente, costituita da una sostanza diversa da quella immanente e indicata col nome di sostanza spirituale, è opportuno affrontare l’argomento riguardante altra sostanza spirituale alla quale è stato dato il nome di anima che, per risiedere dentro di noi, rimane più accessibile alla nostra indagine e, pertanto, più facilmente identificabile, e ciò è reso possibile attraverso l’individuazione dei messaggi che c’invia di continuo, e che vengono recepiti da quella porzione del cervello preposta alla elaborazione del pensiero.
Avendo dato “a priori” a questa sostanza l’attributo d’incorruttibile, rimane ovvio supporre che questa presenza, dovendo protrarsi oltre la durata della nostra vita, sia destinata a risiedere in un luogo diverso da quello della nostra residenza terrena, per essere questa, di certo, non idonea ad ospitarla permanentemente per risultare, per sua natura, corruttibile.
Questa circostanza ci suggerisce che, prima del peccato originale, il primo uomo Adamo, nell’ipotesi che fosse stato creato incorruttibile, non avrebbe potuto soggiornare né sulla Terra né in qualsiasi altro corpo celeste per essere, tutti indistintamente, corruttibili.
All’esistenza di un’anima incorruttibile rimane legato il culto per i defunti che possiamo fare risalire all’età paleolitica attraverso i molteplici reperti che testimoniano l’usanza di pratiche cultuali che rimangono dominanti nel successivo periodo neolitico (10.000 anni fa).
E’ presumibile che questa credenza sia nata dal riscontro della presenza del defunto nei sogni, e che abbia condotto ad immaginare il protrarsi della vita in condizioni diverse che avrebbero consentito ugualmente di potere comunicare con i familiari. Da qui è nata l’usanza di collocare nella tomba monili unitamente a cibo e libagioni.
Poiché la cultura del tempo non era in grado di concepire l’esistenza di una sostanza di natura spirituale che vivesse una vita autonoma al di fuori del corpo, si e giunti, successivamente, all’idea dell’incarnazione che è stata riferita che avvenga, sia in un altro uomo, sia in qualsiasi essere vivente, condizioni queste che, presentando l’inconveniente del mantenimento della corruttibilità, hanno suggerito di estendere l’inserimento, riservato ad antenati, a sculture antropomorfe considerate incorruttibili, che sono diventate oggetto di culto famigliare (manismo).
L’argomento riguardante l’esistenza dell’anima ha interessato quasi tutti i filosofi a cominciare dai più antichi, come Platone e Aristotele, fino ai nostri giorni, finendo per giungere al convincimento unanime che l’anima sia la sorgente del nostro pensiero (la res cogitans di Cartesio) e da qui, essendo stata considerata sostanza spirituale, si è pervenuti al suo inserimento nel credo religioso.
Il nuovo catechismo della religione cattolica, rifacendosi alla filosofia aristotelica, sancisce, con l’affermazione “anima et corpore unus”, che l’anima è la forma del corpo e ciò senza prendere in considerazione le assurdità a cui questo dettato conduce, e, prima fra tutte, quella riguardante la circostanza che l’anima dovrebbe, necessariamente, mantenere la sua unione con il corpo anche quando questo si trovi in stato di decomposizione, escludendo che possa continuare a vivere, per un certo tempo, autonomamente in attesa della presunta resurrezione della carne che dovrebbe verificarsi “alla fine dei tempi”, e cioè coincidere con la fine del nostro mondo (e forse anche dell’universo).
E’ possibile trovare, in questo recente dettato della Chiesa cattolica, un riferimento a quanto è stato sostenuto, da uno dei suoi primi padri, il filosofo Tertulliano, con l’affermazione che l’anima venisse generata dai genitori al momento del concepimento, (traducianismo corporeo). Questa tesi, che rimane inaccettabile perché non si può attribuire ad una sostanza materiale la prerogativa di generare altra sostanza di natura diversa, è stata successivamente modificata da S.Agostino con l’affermazione che la generazione dell’anima sia riservata all’anima dei genitori (traducianismo spirituale)
Questa seconda ipotesi, purtroppo, comporta delle gravi incongruenze che, per amore della verità, è giusto sottolineare. Poiché la nuova anima generata proverrebbe in eguale misura dal contributo di entrambi i genitori, è lecito prevedere, per ciascuno di questi, la generazione di una semianima che si dovrebbe ricomporre in quella del figlio generato. La generazione inoltre, essendo un fenomeno biologico, qualora venisse riferita all’anima, andrebbe vista che si realizzi con le stesse modalità.

Per giungere alla duplicazione di una cellula si rende necessario conseguire, attraverso l’apporto di sostanze nutritive di provenienza esterna, un aumento del volume del nucleo e ciò per consentire la sua divisione e la nascita di una cellula con due nuclei che, in una fase successiva, attraverso un aumento della sostanza citoplasmatica, condurrebbe ad un’ulteriore divisione e alla nascita di due cellule identiche.
Questo procedimento, se riferito all’anima, poiché comporterebbe l’esistenza di un apporto esterno di sostanza spirituale all’anima generante, lascia presumere una presenza esterna al corpo di questa sostanza, e cioè nello spazio, dove, rimanendo inattiva, sarebbe costretta a soggiornare per tutto il tempo che va dalla comparsa dell’uomo sulla Terra fino alla fine del mondo, condizione, questa, che il buon senso ci suggerisce di escludere.
Altra osservazione da farsi, e che riveste un’importanza più rilevante, è quella riguardante la circostanza che la sostanza spirituale, che compone l’anima, dovrebbe risiedere, in pari misura, nell’oocita materno e negli spermatozoi dell’uomo, il che, tenendo conto dell’enorme numero di queste ultime cellule, lascia presumere, unitamente a dimensioni microscopiche dell’anima, un’impietosa condizione a cui sarebbe destinata, essendo incorruttibile, tutte le volte in cui la fecondazione non giungesse a buon fine.
Entrambi le tesi risulterebbero essere in conflitto con il creazionismo, che è stato accettato dalla teologia cattolica, e ciò senza prendere in considerazione, purtroppo, le assurdità a cui questo dettato conduce, poiché finirebbe per inficiare il libero arbitrio di Dio costringendolo a creare un’anima tutte le volte che l’uomo decidesse di procreare, il che finisce per subordinare il volere divino a questa decisione; se poi consideriamo il numero considerevole delle nascite che avvengono oggi nel mondo e in tutti i momenti di una giornata, Dio risulterebbe essere sottoposto ad un “tour de force” creativo di grandissima rilevanza perché mai interrotto nel tempo e sempre in progressivo aumento.
Ma c’è di più: il volere di Dio risulterebbe essere condizionato anche da quei fenomeni naturali in cui viene a mancare la volontà dell’uomo; si tratta delle gravidanze gemellari e plurigemellari che costringerebbero Dio, prima di creare un’anima, di accertare di che tipo di fecondazione si tratti e comportarsi di conseguenza con creazioni plurime.
In queste condizioni si rende necessaria la formulazione di una tesi nuova che si presenti semplice, di facile comprensione e che non sia in grado di fomentare diatribe confessionali. Il problema rimane risolto in maniera corretta facendo ricorso all’emanazionismo, dottrina filosofica risalente a Plotino (II sec. d. C.), ma dopo avere apportando alcune modifiche restrittive che eviterebbero di giungere al panteismo, e ciò è reso possibile ponendo dei limiti al raggio d’azione dell’emanazione, che dovrebbe avere il compito esclusivo di comporre l’anima e non già, come è stato inizialmente previsto, a consentire la presenza di tutti gli esseri dell’universo.
Questa dottrina che, in verità, è nata molto tempo prima perché la ritroviamo contenuta in alcune filosofie orientali (il brahmanesimo, la cabala, il taoismo), che prevedono che tutto proviene dall’Uno e ritorna all’Uno, convincimento questo che risulterebbe essere condiviso anche da Cristo con la concisa affermazione: “provengo dal Padre e ritorno al Padre” e, stranamente, con l’altra espressione, “Io sono la via, la verità, la vita”, si ricollega al taoismo poiché la parola via è la traduzione letterale di tao che si identifica con l’Uno, il che è di conforto per la validità della nuova interpretazione sull’origine dell’anima in sostituzione del creazionismo.
Quel “qualcosa” d’imprecisabile, che risulta contenuto nell’emanazione, troverebbe recettività in una struttura (da individuare) presente soltanto nel cervello dell’uomo e presumibilmente nel centro etico, quindi con esclusione di tutti gli altri esseri viventi dove questo centro non è presente, e sarebbe in grado, permanendo in questa sede, di assolvere il suo importante compito di guida nel comportamento morale dell’uomo. Naturalmente questo centro d’accoglienza rimane sottoposto ad accrescimento progressivo che si arresta al momento del completamento dell’individuo adulto, e avere, così come accade alle altre strutture, dimensioni che variano da individuo ad individuo e, di conseguenza, diversificato nella stessa misura, dovrebbe risultare il contenuto di emanazione divina mentre, in alcuni casi, ove questa struttura non fosse presente, si giungerebbe alla mancanza dell’anima.
Stranamente questa interpretazione riceverebbe una conferma indiscutibile da un preciso dettato divino contenuto nelle parole di Cristo che ritroviamo nella famosa parabola dei talenti (Mt. 25,14 ss.).
Altra conferma ci proviene dall’esperienza che ci dice che il sentimento del rimorso, prerogativa certa ed esclusiva dell’anima, trova un riscontro soltanto nell’età adulta e non già nei primi anni dell’infanzia quando il centro etico è poco sviluppato. Questo riscontro ci fa ritenere che la mancanza di questo sentimento in un adulto è attribuibile ad un mancato sviluppo o alla totale assenza di questo centro d’accoglienza dell’anima e, di conseguenza, in questo caso, la presenza dell’anima verrebbe a mancare per tutta la durata della vita. Di contro colui che nell’età adulta è animato da sentimenti di amore per il prossimo e dedica la propria vita a questo fine, continuerà a farlo anche nell’età avanzata,. perché non verrà mai meno la presenza dell’anima.
La disuguaglianza comportamentale degli uomini, l’esistenza cioè di buoni e di cattivi, trova una sua giustificazione nella circostanza che non a tutti gli uomini è stato concesso di beneficiare nella stessa misura della presenza dell’anima, e ciò a motivo della carenza totale o parziale nel cervello della struttura preposta al suo accoglimento, e, di conseguenza, l’esistenza negli uomini di una disuguaglianza anatomica finisce per giustificare quella comportamentale.
L’ipotesi del creazionismo esclude l’esistenza di una disuguaglianza da riferire all’anima il che finisce per condurre al risultato di attribuire unicamente a Dio la responsabilità delle disparità di comportamento degli uomini.
Per rimediare a questo anacronistico comportamento divino, si è dimostrata utile e, in un certo senso, indispensabile l’invenzione del peccato originale che lascia prevedere che le devianze morali dell’uomo siano l’inevitabile conseguenza di una grave colpa originaria che, sollecitando una giusta punizione divina, avrebbe consentito all’uomo, attraverso l’acquisizione del libero arbitrio, di potere peccare, condizione questa che veniva a mancare al momento della creazione.
Tutto questo conduce ad ammettere che la condizione di potere peccare rimane essere la conseguenza diretta della punizione di Dio che, qualora si fosse astenuto dal punire, perché sollecitato da un sentimento di perdono, l’intera umanità si sarebbe trovata nelle condizioni di non potere peccare e, pertanto, non bisognevole della redenzione divina che oggi non può che essere vista come conseguenza di un “ripensamento” di Dio.
L’assurdità di questa ipotesi fantastica non sta nella sua formulazione, ma nel fatto che, per portare a soluzione un problema non facilmente risolvibile, si sia ricorso a deturpare l’immagine di Dio con l’attribuzione di un comportamento assurdo perché rivolto a dare all’uomo la possibilità di peccare.
La Chiesa, poiché per le elaborazioni dottrinali, si avvale del sostegno d’illustri teologi, conosce certamente queste problematiche ma preferisce ignorarle ricorrendo alla scappatoia di trovarsi in presenza di verità “misteriose” che il buon cristiano, per evitare la sua dannazione, deve accettare passivamente trattandosi di dogmi.
L’esistenza nell’uomo di un centro d’accoglienza dell’anima, che verrebbe a mancare nei criminali, risolve il problema dell’esistenza del male che finirebbe per rientrare nei fenomeni naturali. E’ necessario, tuttavia, che questa ipotesi, prima di essere accolta, riceva conferme dall’individuazione, nell’uomo, di questo centro d’accoglienza dell’anima.
Al raggiungimento di questo obbiettivo sono rivolti i suggerimenti che troveranno posto nelle le pagine che seguono
Non potendo essere utilizzata, a questo scopo, una ricerca d’anatomia perché di difficile esecuzione con i mezzi di cui è possibile disporre, non rimane altro che fare ricorso ad altre metodiche consistenti in una accurata ricerca genetica rivolta all’individuazione dei geni responsabili della presenza nel nostro cervello di questo centro.
Poiché la mancanza di questo centro può essere classificata una malformazione, questa, come tutte le altre, dovrebbe essere ritenuta di origine genetica e, in quanto tale, individuabile attraverso una ricerca rivolta a scoprire l’esistenza di una discordanza tra il DNA presente nell’uomo moralmente esemplare, e quello appartenente a criminali e ad animali, il che farebbe supporre di trovarsi in presenza di una malattia genetica da ricondurre ad un arresto del processo evolutivo.
Un tempo, la localizzazione dei geni nei cromosomi si presentava essere una ricerca d’impossibile realizzazione ma oggi non lo è più, tanto che è possibile fare delle previsione sulle malformazioni (sindrome di Down, altre trisomie ecc.) a cui potrebbe andare incontro un nascituro, attraverso un semplice esame, rivolto in questa direzione, durante il periodo di gestazione.
La ricerca andrebbe fatta tenendo conto delle leggi dell’ereditarietà e dovrebbe essere rivolta verso particolari gruppi tribali dove, in conseguenza di particolari condizioni ambientali, viene a mancare un interscambio con altre razze, il che conduce al mantenimento di tradizioni e comportamenti che in alcuni casi (ad es. cannibalismo) sono rintracciabili soltanto nel genere animale.
Altre ricerche andrebbero rivolte all’ambiente carcerario selezionando coloro che si fossero macchiati di delitti d’efferata crudeltà, che avessero svolto attività di terrorismo, di traffico di sostanze stupefacenti, di sfruttamento della prostituzione, e tutte quelle altre categorie di uomini che hanno fatto del crimine una regola di vita.
Un’indagine particolare meriterebbe di essere rivolta verso coloro che si sono resi colpevoli di reati di mafia e ciò perché rimane più evidenziabile una trasmissione ereditaria in conseguenza dell’ubicazione (piccoli centri a vocazione agricola), dove, risultando ridotto l’interscambio, è reso possibile che rimangano coinvolti diversi membri di una famiglia). Oggi, attraverso il trasferimento della popolazione dai centri di provincia alle città si è passati alla mafia di quartiere per cui le indagine andrebbero rivolte in questa direzione

Nel corso della storia si sono verificati numerosi episodi di criminalità collettiva che hanno visto la partecipazione solidale di numerosi soggetti animati dall’entusiasmo di uccidere in maniera indiscriminata e senza alcun tornaconto (vedi il genocidio dei Maya nel Guatemala, l’uccisione degli “infedeli” all’epoca delle crociate, la strage dei calvinisti avvenuta nella tristemente famosa notte di S. Bartolomeo, il genocidio degli ebrei ad opera delle SS ecc: ) il che fa pensare ad episodi di “epidemia criminale” che così può essere definita la criminalità se la si consideri una malattia di origine genetica.
Questa disparità di sorte sul possesso dell’anima ci suggerisce l’idea che gli uomini privi dell’anima sono riconoscibili dagli efferati delitti che commettono. E’ presumibile, pertanto, che il destino di costoro non debba essere la dannazione eterna e la prospettiva di patire le atroci sofferenze dell’inferno dantesco, ma, avendo una loro collocazione nel genere animale, avranno la stessa sorte assegnata a questo genere: essere privati del godimento di una futura vita extra terrena.
Questa interpretazione finisce per portare a soluzione il problema del male e quello della redenzione attraverso la grazia. riservata non a tutti gli individui (come sostiene S. Agostino), e ciò perché il peccato, e con esso il male, andrebbe riferito ad un vuoto di anima o ad una riduzione della sua presenza. Il deterioramento definitivo e permanente di questa struttura d’accoglienza dopo la morte, consentirebbe all’anima di potere abbandonare il corpo per proseguire in quel ciclo che la riconduce nella persona di provenienza, Dio.
L’anima pertanto va vista come parte differenziata di Dio contenuta nell’“emanazione“, che in un momento del suo percorso, abbia trovato ospitalità in una porzione del corpo umano. In questa nuova condizione le è stato possibile esercitare un’attività rivolta a modulare il comportamento dell’uomo e a indirizzarlo verso il conseguimento di una condizione di benessere morale.
Poiché il contenuto dell’emanazione divina cresce di pari passo con lo sviluppo cerebrale, e quindi con l’età, è presumibile che nella prima infanzia, l’anima eserciti la sua influenza in misura limitata, ma accettabile, venendo a mancare il peccato.
Una conferma dell’ipotesi della collocazione cerebrale dell’anima, ci proviene dalle rivelazioni fatte da coloro che, per aver subito un grave trauma cranico, sono entrati in uno stato di coma che ha richiesto il ricorso a terapia intensiva di rianimazione. Al risveglio alcuni di questi soggetti riferiscono di avere avuto la sensazione di lasciare il corpo e di essere stati aspirati da una specie di cono di luce e ciò in una condizione di “pieno benessere”. In verità si tratta di casi esigui, giustificati dal fatto che la maggior parte di questi traumatizzati finisce per morire, mentre in quelli sopravissuti, qualora il danno cerebrale non avesse coinvolto il centro d’accoglienza dell’anima, questa esperienza non verrebbe a mancare, così pure in coloro che, colpiti da momentaneo arresto cardiaco, sono riusciti, attraverso adeguata terapia, a sopravvivere e ciò perché il cervello non risulta essere stato irrimediabilmente danneggiato.
Questi riscontri venivano a mancare in passato e ciò perché, non si disponeva ancora di quei mezzi terapeuti che consentissero il mantenimento delle funzioni vitali, e il decesso costituiva una regola.
Un’analisi accurata di queste confessioni ci dice che, sistematicamente, ricorrono in tutti i soggetti due esperienze che riguardano lo stato di benessere acquisito e la coscienza di continuare ad esistere al di fuori del corpo. Vanno ponderate invece quei racconti che riguardano la visione del proprio corpo su un lettino circondato dai propri familiari e da medici, e ciò perché possono essere interpretati come il ricordo di eventi, vissuti in passato in prima persona, o riferite da altri soggetti.
Rimane scontato che l’anima, avendo abbandonato la sua sede naturale, non è in grado di recepire i messaggi di sofferenza e di dolore che provengono da quella porzione del cervello deputata alla loro ricezione, e ciò perché è venuta meno ogni comunicazione con questa porzione, che invece viene mantenuta col centro della memoria (porzioni frontali e zona dell’ippocampo che risulterebbero, molto probabilmente, non eccessivamente danneggiate) al quale trasmetterebbero le sensazioni di benessere e di serenità acquisite, che, una volta fissate, potranno riaffiorare in una fase successiva quando l’ammalato, notevolmente migliorato, è in grado di riferire con parole l’esperienza trascorsa.
Il dogma della risurrezione della carne finisce per affermare la mancanza nell’anima di un’autonomia di vita in assenza del corpo, il che comporta che l’anima, dopo la morte, sarebbe costretta ad attendere, rimanendo inattiva per un lunghissimo periodo di tempo, il momento (l’ultimo giorno) in cui avverrebbe il ripristino delle condizioni precedenti attraverso la risurrezione.
Merita di essere sottolineata la circostanza che il nostro corpo, dopo la morte, è destinato ad andare incontro a completo disfacimento, fino a giungere alla dispersione nello spazio degli atomi che lo compongono, disfacimento che verrebbe accelerato nei casi di annegamento nel mare o in conseguenza di pratiche di cremazione. Che senso ha, attraverso un fenomeno miracoloso, radunare proprio questi atomi per ricostruire il corpo, quando è possibile disporne di nuovi altri che risultano perfettamente identici e più facilmente reperibili? Naturalmente questo immane compito, non potendo rientrare nei fenomeni naturali, risulterebbe essere riservato a Dio e sarebbe rivolto a porre rimedio ai guai prodotti da un solo uomo attraverso il peccato originale!