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LINGUAGGIO MUSICALE
INCANTO DEL SUONO

La cultura occidentale ha sempre cercato di guardare il mondo, nel tentativo di carpire le sue leggi, i suoi misteri. Non ha capito che il mondo non si guarda, si ode. Non si legge, si ascolta (Jaques Attali); si sentono i rumori, la musica, la radio, la televisione e ci si rende conto che il nostro mondo, la nostra vita quotidiana, sono permeati di sollecitazioni acustiche.
I suoni diventano un mezzo di percezione della realtà, il linguaggio musicale un mezzo di comunicazione come la parola scritta o parlata. Quindi non un insieme incomprensibile di simboli interposto tra il musicista e il fruitore, ma un anello di congiunzione tra l'uomo e i suoi sentimenti, i suoi bisogni, le sue aspirazioni, dove i suoni non sostituiscono le parole, ma formano un linguaggio fantastico e creativo, espressione diretta e immediata della musica.
Robert Schumann scriveva che «si sbaglia di certo, se si crede che i compositori si mettano innanzi penna e carta nel misero proposito d'esprimere, descrivere e colorire questa cosa o quella...», la musica quindi esprime interiorità, sentimenti, sensazioni, va letta non solo come successioni di suoni, ma  nella sua globalità.
Nessuno si sognerebbe mai di descrivere un quadro di Paul Gauguin come successione di gialli, rossi, viola, verdi e sicuramente un accordo finale suona ben diverso per un ascoltatore che sia stato nella sala durante tutta l'esecuzione di una sinfonia, o per un altro che càpiti a entrare in sala in quel punto stesso.
Si narra che Wolfgang Amadeus Mozart quattordicenne in un viaggio in Italia avesse ascoltato il Miserere di Gregorio Allegri, tanto bello che ne era stata proibita la pubblicazione e la diffusione affinché la chiesa romana ne avesse l'esclusiva. Rientrato in albergo il giovane Mozart prende dei fogli di musica e scrive il complicato intrigo polifonico delle otto voci del Miserere, senza sbagliare una nota.
Qui siamo di fronte ad un genio della musica, ma ciò dimostra che Mozart aveva capito quella musica nella sua globalità e non doveva fare altro che ricordare e trascrivere. Nella musica non c'è altro da capire se non la musica stessa;  sia classica che leggera, essa restituisce un'immagine del mondo, buona o cattiva, stimolando tutto il complesso delle facoltà spirituali.
Certo sarebbe auspicabile che un giorno tutti gli ascoltatori sapessero che cos'è una fuga, una sonata, una suite, una terza minore, ma siamo sicuri che ciò è necessario per comprendere e gustare la musica?
L'esperienza dimostra che una certa musica ha carattere di universalità, mentre dell'altra si capisce solo con la conoscenza della sua struttura, del momento storico in cui è stata composta, dei riferimenti ad altra musica. Per esempio l'ascolto della musica di W. A. Mozart, di G. Verdi, dei Beatles, di L. Armstrong  è immediato, non ci sono barriere da superare per gustare la bellezza delle melodie e delle armonie; più difficile diventa l'ascolto della musica di C. Debussy, di R. Wagner, di F. Zappa, di M. Roach, astruso quello di A. Schönberg, di K. Stockhausen, di A. Braxton, della musica indiana e di tutto ciò che il nostro orecchio non è abituato a sentire.
Si deve stare attenti, tuttavia, a non cadere nel luogo comune di chi ascolta ciò che la società vuole che ascolti, rifiutando il nuovo; una sorta di atteggiamento passivo del consumatore di musica che si abbandona solo all'estasi suggerita dalla gradevolezza dei suoni, con conseguente paura dell'ignoto e del non ripetitivo.
La musica può essere facile o difficile, ma non per questo dobbiamo avere un'opinione superficiale di essa; più si ascolta musica diversa più si affina l'orecchio e si comprendono consciamente o inconsciamente complicate architetture musicali e soprattutto non bisogna scoraggiarsi se all'inizio qualcosa non si capisce completamente. Se non si prende consapevolezza di ciò, il problema stesso dell'interpretazione del linguaggio musicale non sarebbe mai nato e potremmo ascoltare sempre la solita piacevole e abituale musica.



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1. Concerto di Woodstock (1969)
2. Anthony Braxton (Bologna, 2007)
3. Karlheinz Stockhausen

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